Cultura

Aver paura di hamas?: L’esperto. «Almeno non è una scatola vuota»

La vittoria di Hamas è innanzitutto frutto del suo radicamento sociale, della dedizione e della integrità con cui ha assicurato l’assistenza agli strati più disagiati della popolazione palestinese

di Jannicki Cingoli

La vittoria di Hamas è innanzitutto frutto del suo radicamento sociale, della dedizione e della integrità con cui ha assicurato l?assistenza agli strati più disagiati della popolazione palestinese, grazie anche ai copiosi finanziamenti assicurati dall?Iran e da altri finanziatori sauditi e di altri paesi arabi. Ma questa formazione islamica è stata anche percepita dalla popolazione come estranea e non compromessa rispetto al sistema di potere eretto dentro l?Autorità nazionale palestinese, sentito oramai come un peso insopportabile nella generale situazione di crisi di quella società. Estranea, infine, a quello stesso processo di pace che pure tante speranze aveva suscitato, ma che alla fine nel comune sentire della gente è risultato una scatola vuota, senza corrispondenza con il vissuto quotidiano dell?occupazione, della violenza, della repressione. Questa vittoria è anche la sconfitta di al Fatah, un partito fattosi Stato, sulla falsariga di tanti altri movimenti di liberazione nazionale, un po? come l?Fln algerino. Un partito che non aveva più curato i rapporti con la società e i suoi problemi quotidiani, di mera gestione del potere, un potere troppo spesso basato sulla corruzione e sull?esercizio della forza. Un partito, infine, la cui leadership ha commesso il tragico errore di avallare, alla fine del 2000, il processo di militarizzazione dell?Intifada, scatenando un processo di frantumazione delle forze e dei gruppi armati, e di via libera all?azione dei diversi gruppi fondamentalistici, da cui ha finito per restare sommersa. Il processo di sfaldamento di al Fatah è stato invano contrastato dal gruppo dei giovani leader raccolti intorno a Marwan Barghouti, e che avevano costituito il nerbo dirigente della nuova Intifada. Barghouti, dal carcere israeliano dove è rinchiuso condannato a diversi ergastoli, aveva concordato con Abu Mazen, in cambio della sua mancata candidatura alle elezioni presidenziali palestinesi, la convocazione del congresso del partito, che non si tiene più da 16 anni, ma anche questa promessa è restata sulla carta. Alle primarie precedenti le elezioni, questo gruppo aveva riportato nette affermazioni, riuscendo alla fine ad imporre, dopo forti contrasti, Barghouti come capolista al posto del premier uscente Abu Ala, che non si è presentato dopo aver minacciato liste alternative. Ma il tentativo di rinnovamento, avallato dopo forti esitazioni e incertezze da Abu Mazen, è arrivato tardi, e i legami sociali perduti in tanti anni non potevano certo essere ricostituiti in qualche settimana. La situazione ora si presenta molto intricata. Sono venuti meno i cardini su cui si è basato il processo di pace da Oslo in poi, i suoi punti di riferimento essenziali, che sono disconosciuti da Hamas. Questa formazione oggi è chiamata a responsabilità di governo, e certo non potrà limitarsi a proclamare degli slogan passionali ma di difficile applicazione. In ballo ci sono i sostanziosi aiuti assicurati dall?Europa, il rischio che il mondo vari misure ostili. Hamas, in altri termini, è chiamata a scegliere se essere partito di governo o partito di lotta, di lotta armata. Un bivio che cercherà in ogni modo di evitare, sulle orme dell?Ira irlandese rispetto al Sinn Fein. Per l?intanto, è probabile che essa riconfermi unilateralmente la tregua oramai in atto da circa un anno, e sostanzialmente rispettata da Hamas contrariamente al Jiad islamico. Ma è assai difficile che il nuovo partito al governo della Palestina voglia prendere parte a negoziati che comporterebbero il riconoscimento di Israele. I contatti diplomatici, il lavoro sporco direbbero loro, lo lasceranno al presidente Abu Mazen, e forse a quello stuolo di consiglieri politici di provenienza Fatah, che altrimenti rischiano di restare disoccupati. Loro preferiranno non sporcarsi le mani col nemico sionista, anche per mantenersele libere. E concentrarsi sui problemi quotidiani della popolazione, cercando di rispondere alle sue esigenze più immediate, in base alle richieste del loro stesso elettorato.


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